Il Tea Party Italia ha organizzato un presidio in Piazza San Babila per protestare contro gli sprechi dell’emittente pubblica, chiedendone la privatizzazione
Il Tea Party Italia ha organizzato un presidio in Piazza San Babila per protestare contro gli sprechi dell’emittente pubblica, chiedendone la privatizzazione
Meno Stato, meno tasse, più libertà. È il mantra del Tea Party, che quest’oggi protesta a Milano, in Piazza San Babila, contro la Rai.
L’acronimo “Tea” sta per “taxed enough already” (“tassati già abbastanza”) e per molti una delle imposte più indigeste da pagare allo Stato è proprio il canone dell’emittente pubblica.
E mancano ormai pochi giorni per completare il versamento: entro la fine del mese gli italiani sono chiamati a scucire 113.50 euro.
Il sit-in chiede una cosa soltanto: rottamare – ma per davvero – la Rai. A organizzarlo, nel cuore della città, è Fabio Bertazzoli, coordinatore Lombardia del Tea Party, che presenta la posizione del movimento: “La Rai è un simbolo. È difficile spiegare alla gente come l’intervento dello Stato nell’economia si traduca in qualcosa di inefficiente e gravoso per i cittadini, in quanto ostacola la concorrenza. Un esempio? L’acqua. Se fosse gestita da competitor privati il sevizio sarebbe più efficiente e costerebbe meno. Ma le persone si spaventano perché pensano che il privato sia cattivo e voglia solo guadagnarci. E infatti il referendum del 2011 è andato come è andato…”.
L’iniziativa, appoggiata da oltre venti sigle, è stata lanciata a settembre, a Roma, da Edoardo De Blasio (del Partito Liberale Italiano), che insieme allo stesso Bertolazzi ha lanciato la raccolta firme, che saranno portate all’attenzione del Parlamento e di Matteo Renzi. “Quando parlo del canone uso la metafora del pizzo, che viene chiesto da uno Stato ladro. Di fatto, siamo costretti a pagare una cosa che non vogliamo, anche perché sennò veniamo sanzionati. È una presa in giro e, fondamentalmente, è un’estorsione di Stato, legale” continua il promotore del sit-in, che prosegue: “Dire che il servizio offertoci dalla Rai è scadente è quasi un complimento. Ma perché io devo pagare per un servizio del genere, che non voglio e che – per di più – posso avere anche gratis?”.
Un pensiero comune, ripetutoci da chi ha firmato la petizione fermandosi al gezebo allestito dagli attivisti: “È veramente l’ora di dire basta e sono contenta che qualcuno stia provando a fare qualcosa. Troppi soldi e troppo sprechi, per avere poi un’offerta pessima” protesta una signora, spalleggiata poi da un ragazzo: “Poi adesso inizia Sanremo. Bella roba: cachet milionari pagati di tasca nostra.” E ancora: “Altro che mamma Rai, è bisnonna Rai. È tempo che vada in pensione…”, “Io non la guardo mai, ma proprio mai. Però devo pagarla solo perché ho la televisione, sennò mi multano. Se non è un’ingiustizia questa…”.
Bertazzoli ricorda che con un referendum dei radicali (era il 1995) gli italiani avevano chiesto la privatizzazione della Rai. Una volontà poi aggirata dallo Stato. L’organizzatore si affida poi ai numeri: “Secondo il bilancio del 2012 hanno incassato circa 1.755 miliardi di euro di canone, più 800 milioni di pubblicità. Per un totale di 2.5 mld. Ma le perdite sono state di 400 milioni, ripianate con la tassazione generale: il paradosso è che noi paghiamo due volte. Ci perdiamo sempre”.
E continua: “Poi, è vergognoso che l’informazione sia gestita in questo modo. Quello della Rai, in realtà, non è un servizio pubblico. In un Paese civile e democratico l’informazione deve essere davvero libera e davvero pluralista, non in mano alla partitocrazia. Che la televisione di Stato dia un servizio informativo a favore dei partiti, con i nostri soldi, è un qualcosa di intollerabile”.
Dunque, rottamare e privatizzare la televisione pubblica: “Vendendo la Rai ai privati prendiamo tre piccioni con una fava: far risparmiare agli italiani 1 miliardi e 700 milioni di canone, evitare continui ripianamenti e permettere allo Stato di incassare soldi utili per abbattere il debito pubblico. La Rai, infatti, ha un valore e la sua vendita potrebbe rimpinguare le casse statali, con la positiva conseguenza di un allentamento della pressione fiscale. Ecco, il tutto deve essere inquadrato in una riforma del sistema delle telecomunicazioni che persegua un modello liberista, vincendo i monopoli.” chiosa Fabio Bertazzoli.