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mercoledì 20 giugno 2012

l'imu deprime i valori immobiliari

concordo con l'analisi qui sotto il dramma che questi "esperti" stanno diminuendo il valore degli immobili che si apprestano a mettere sul mercato, una facile dietrologia potrebbe spiegare che qualche amico potrebbe comprare immobili a prezzo di favore Di Nicolò Sella di Monteluce L'Imu ha depresso del 20% gli scambi immobiliari, ed avrà un effetto devastante nel valore degli immobili, pertanto dei loro prezzi di vendita, dell'indotto generato, e del loro valore di garanzia per finanziamenti ipotecari. Questo in un momento in cui lo Stato vuole favorire le dismissioni immobiliari. Questa tassa, quindi, equivale a spararsi su una gamba. Con questa nuova imposta, il capitale investito nell'immobiliare viene tassato complessivamente a quasi l'1% dei valori di mercato. Ossia, capitalizzandolo, avremo un nuovo calo del valore immobiliare perlomeno del 10% del valore patrimoniale. In un mercato gia con bassa redditività, che cerca nella sicurezza e nel capital gain una soluzione alla crisi odierna. A questo si aggiunge il rallentamento economico in atto, il calo delle vendite e l'effetto dell'illiquidità dei proprietari, che trovano difficoltà a far fronte ai costi crescenti, ed alla tassa stessa. Essi cercano allora soluzioni per aumentare la liquidità: si sentono infatti minacciati da una Stato che riesce ad iscrivere in un battito di ciglia una ipoteca per morosità. Si finanziano dando garanzie aleatorie. Così si sviluppa il blocco della economia immobiliare. In un momento particolare, aggiungo: proprio quando lo Stato si accinge a dismettere i suoi valori! Colpiamo così in un colpo solo il mercato immobiliare, il suo indotto, ed il successo delle dismissioni che il governo vorrebbe condurre. E lasciamo aperta quella stessa porta immobiliare che ha fatto esplodere gli Stati Uniti, distruggendone il sistema bancario attraverso il crollo dei valori immobiliari. Non male per una economia gestita da esperti.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Cari amici, leggo ovunque mille sagge idee su come migliorare la situazione economica del nostro Paese ma raramente vedo affrontare il tema della CAUSA, unica e primordiale, della crisi economica che da almeno 15 anni colpisce i paesi con alto costo del lavoro. Stiamo accettando che la crisi sia un fatto ineluttabile, piovuto da cielo, e come tale nessuno possa immaginare se e quando finirà. Parrebbe che l’unica nostra possibilità sia quella di rallentare la corsa verso l’abisso con le mille sagge idee di cui discutiamo ogni giorno da anni.
Ora però mi sono formato l’opinione che la crisi nasca da un’unica causa, un errore compiuto in buona (per alcuni anche cattiva) fede oltre 15 anni fa dagli economisti dell’epoca e che essi oggi non si sentano di accollarsi una responsabilià così grande riconoscendolo.
Ecco perchè ora mi permetto di portare l’attenzione sull’origine della crisi e di proporre un’ipotesi che la spieghi e quindi permetta di arrestarla.
(nota: desidero chiarire che lo spunto per questa ipotesi proviene dal volumetto di Giulio Tremonti “La paura e la speranza”).

Per spiegarmi userò una metafora: immaginate che io, con i miei 76 anni, entri in una “competizione globale”, da disputare sui 100 metri piani, affrontando tutti gli atleti del mondo (incluso Usain Bolt), e mettendo in gioco tutte le mie fonti di sostentamento inclusa la pensione di cui vivo.

Come mi definireste? Un imprudente ? No, meglio dire un ‘imbecille.

Ebbene gran parte dei Paesi del pianeta, il 15 aprile 1994, firmarono a Marrakech il trattato WTO, trattato di “libero scambio” con il quale accettavano la “competizione globale” in campo commerciale, rinunciando alle barriere doganali con le quali da sempre avevano “protetto” la propria industria, in caso di necessità.
In seguito a ciò le imprese ed i lavoratori di paesi come la Grecia, l’Irlanda, la Spagna, l’Italia entrarono in competizione con potenze industriali del calibro della Cina e con le imprese multinazionali delocalizzate in paesi con bassissimo costo del lavoro, giocandosi le proprie industrie ed il proprio lavoro.

Dall’entrata in vigore del trattato, nel 1995, i paesi perdenti in questa competizione globale hanno iniziato a rallentare il proprio sviluppo economico, poi sono passati alla fase di stagnazione per piombare infine nella recessione senza via d’uscita.

C’è speranza di vincere la competizione ? Assolutamente no, come per il signore della parabola, e come lui dobbiamo essere definiti.

Naturalmente la via d’uscita esiste: uscire dal trattato di libero scambio e cominciare a produrre e consumare una maggiore quantità di prodotti nazionali, riavviando la nostra industria e la nostra occupazione. Ovviamente non si suggerisce di bloccare le importazioni, in quanto l’Italia è un paese in cui gli scambi commerciali sono un’aspetto essenziale, ma di applicare, solamente alle importazioni più pericolose per la nostra industria, tariffe adeguate per limitarle, come facemmo per realizzare il miracolo economico del dopoguerra.

Cordiali saluti, Fabio Fabbri, Monza