Ti voglio raccontare una storia. (copiata dal sito tea party) La protagonista è una donna lavoratrice: si fa in quattro per la sua professione e nell'ultimo anno ha portato a casa 15.488 euro netti. Non è molto, ma potrebbe bastarle per vivere serenamente. Se non fosse che... La donna è sposata da molti anni con un uomo pigro e sfaticato, che passa il suo tempo in bar malfamati. Oltre ad approfittare di vitto e alloggio, senza contribuire per nulla alle spese di casa, l'uomo si fa dare dalla moglie una parte di quello che lei guadagna: solo nell'ultimo anno ha ricevuto da lei 3.975 euro. Ripete che si tratta del "pagamento" dovutogli per lo svolgimento dei "lavori di casa", ma questi lavori in realtà non li fa quasi mai, se non in qualche rara occasione (comunque decisamente male e molto lentamente). Se la donna rifiuta di consegnare quei soldi, il marito diventa molto violento e passa alle minacce fisiche, che sfociano in drammi qualora scopra tentativi di nascondere qualche banconota guadagnata con gli straordinari. Inoltre la donna, inutile negarlo, è ancora innamorata del suo aguzzino, e a volte si sorprende addirittura a pensare che è "contenta" di dargli quei soldi, o che è suo "dovere" farlo. I soldi in teoria rimanenti alla lavoratrice dopo la "paghetta" del marito sarebbero ancora sufficienti per vivere in modo dignitoso. Tuttavia nella famiglia ci sono anche quattro figli maggiorenni, tutti nullafacenti e viziati come il padre, di cui ricalcano il comportamento in tutto e per tutto. Quest'ultimo obbliga la moglie a "condividere" un po' dei suoi soldi anche con i quattro giovanotti, soprattutto con il primogenito. Fare "i conti in tasca" ai quattro ragazzi non è facile: ognuno chiede somme differenti, con modalità e tempi differenti, e la donna non ha certo il tempo per tenere una contabilità precisa e dettagliata. Quello che è certo è che durante lo scorso anno la lavoratrice, nel complesso, ha "versato" al resto della famiglia ben 7.899 euro! Le sono rimasti solamente 7.589 euro: meno della metà di quello che aveva faticosamente guadagnato ... e a malapena sufficienti per la sopravvivenza (si tratta di circa 632 euro mensili)! La storia è già abbastanza cupa, ma devi sapere che c'è dell'altro! Il marito, infatti, è anche una persona estremamente possessiva e fastidiosa e impedisce alla moglie di lavorare con serenità: la costringe a svolgere commissioni per lui in orario di ufficio, la chiama decine di volte al giorno facendole scenate di gelosia, le scrive continuamente messaggi per controllarla, con l'effetto di farle perdere concentrazione e produttività. Ovviamente gran parte delle scocciature in questione riguardano i soldi: con un'infinità di scuse il marito cerca di tenere sempre sotto controllo le entrate della poveretta; ma in molti altri casi si tratta di richieste del tutto assurde, spesso spacciate per premura nei confronti di lei. Anche i quattro figli, emulando il genitore, passano la giornata ad infastidire la madre e a sobbarcarla di compiti inutili: per la poveretta lavorare è sempre più difficile, e le sue possibilità di carriera ne risentono. Ancora non basta! Il marito, oltre a non lavorare, spende moltissimo nel corso delle sue giornate: beve come una spugna, offre da bere ai loschi individui con cui si accompagna, scommette sulle corse e passa ore davanti ai video-poker! Solo nell'ultimo anno il disgraziato, a fronte della sua "paghetta" di 3.975 euro, ne ha spesi ben 7.514, quasi il doppio! Per sostenere questo stile di vita è costretto a chiedere continuamente prestiti ai compagni di bevute e di giocate, e credito ai baristi! Paradossalmente, intanto, ha utilizzato i soldi della moglie per costruirsi nel corso degli anni una vasta collezione di francobolli rari, del valore stimato di oltre 4.500 euro, che tiene nascosti in cantina. Di nuovo, anche i quattro figli emulano il padre, sperperando più di quanto incassano, indebitandosi fino al collo e accumulando nel frattempo di nascosto una raccolta di fumetti da collezione. La situazione non può andare avanti così: le spese dell'uomo e dei figli aumentano sempre di più, mentre lo stipendio della donna, a causa del suo scarso rendimento sul lavoro dovuto alla mancanza di concentrazione, negli ultimi anni è diminuito. Inoltre l'ammontare di debito accumulato è talmente alto che oramai i soldi che l'uomo estorce alla moglie sono a malapena sufficienti per pagare gli interessi ... e così altri debiti vengono fatti solamente per poter pagare i debiti precedenti, a tassi sempre più elevati, in una spirale apparentemente senza uscita! In una notte di tempesta, dopo che si è sparsa la voce di una grossa somma di denaro persa dall'uomo scommettendo su una corsa, tutti i creditori si presentano infuriati alla porta di casa, minacciando provvedimenti spiacevoli qualora non rientrino in possesso di almeno una parte del credito entro il giorno successivo. L'uomo urla alla donna che la famiglia è in pericolo, e che per scongiurare il peggio occorrono "sacrifici": sostanzialmente chiede alla moglie di aumentare ulteriormente la sua "paghetta", affinchè lui possa ripianare parte dei suoi debiti. Non solo: l'uomo chiede anche alla moglie di vendere una piccola parte dei suoi gioielli e cimeli di famiglia, consegnando a lui tutto il ricavato (ovviamente non fa alcuna menzione alla sua preziosa collezione di francobolli, o a quelle di fumetti possedute dai figli). Cosa deve fare, secondo te, la povera protagonista della nostra storia? Piegarsi anche questa volta alla volontà del marito dissoluto, sprecone, fannullone e violento? Oppure iniziare a farsi valere, al limite adombrando ipotesi estreme come quella di un divorzio, malgrado il sentimento che ancora nutre verso di lui? COSA SUGGERIRESTI ALLA DONNA IN QUESTIONE? Ah, per tua informazione: 1) La donna si chiama "Italia", il marito si chiama "Stato", i quattro figli si chiamano "Inps" (il primogenito),"Regione", "Provincia" e "Comune". 2) Se aggiungi otto zeri alle cifre della storia che ti ho raccontato, ottieni*: 1.548.816.000.000 = il prodotto interno lordo italiano nel 2010, 397.500.000.000 = le entrate fiscali nazionali nel 2010, 789.896.160.000 = il prelievo totale sulla base del 51% di pressione fiscale REALE** 751.400.000.000 = spesa statale nel 2010, 1.843.015.000.000 = stock di debito pubblico a fine 2010, 450.000.000.000 = valore approssimativo del patrimonio pubblico cedibile a fine 2010***. *: dati da www.istat.it **: stima da www.cgiamestre.com ***: stima da www.brunoleoni.it
se l'aliquota totale delle tasse fosse il 33% tutti pagherebbero ed anche volentieri se ci fosse la possibilita' di dedurre dall'imponibile tutte le spese si innescherebbe un circolo virtuoso perchè tutti vorrebbero ricevute e tutti pagheremmo le tasse, ma con un'aliquota giusta basta con le balle alzare le tasse è una ricetta da idioti con il solo esito di spingere all'evasione per combattere una tassazione soffocante
mercoledì 8 ottobre 2014
giovedì 2 ottobre 2014
Da 10 a 20 mila euro l’anno netti In busta l’80% del costo aziendale Ecco come funziona la proposta del maxi-job presentata da Luca Ricolfi
L’idea del maxi-job è di consentire alle aziende di creare nuovi posti di lavoro a tempo pieno (di qui il prefisso “maxi”) e ai lavoratori di percepire l’80% del costo aziendale, anziché il 50% circa, come attualmente succede per la maggior parte dei contratti. La presentazione che segue illustra solo alcuni principi generali, che richiedono di essere tradotti in un disegno di legge.
Come funziona
Fatto 100 il costo aziendale, il lavoratore percepisce in busta paga l’80% di esso. La differenza fra il costo aziendale e la busta paga viene automaticamente destinata a due impieghi:
a) versamento all’INPS per l’assicurazione pensionistica e sanitaria, con conseguente abbattimento dell’imponibile;
b) pagamento integrale dell’Irpef dovuta.
L’importo versato all’INPS è esattamente pari alla somma che “rimane” dopo il pagamento integrale dell’Irpef.
La retribuzione netta in busta paga non può essere inferiore a 10 mila euro l’anno (di qui il prefisso “maxi”, che distingue nettamente il maxi-job dai mini-job della Germania) e non può superare i 20 mila euro l’anno.
Un esempio
Con il maxi-job più economico (10 mila euro annui in busta paga) il lavoratore percepisce 12.500 euro lordi così suddivisi:
10.000 in busta paga
1.800 euro accantonati a fini pensionistici (Inps)
700 pagamento IRPEF
Il costo aziendale è 12.500 euro, quasi interamente trattenuti dal lavoratore (10.000 subito, in busta paga; 1.800 accantonati a fini previdenziali).
Quali aziende possono attivarlo
Il maxi-job è un contratto riservato alle aziende, di qualsiasi forma giuridica, sia pre-esistenti sia di nuova costituzione, che incrementano il numero di occupati. Per lavoratori “occupati” si intendono i lavoratori dipendenti in senso proprio (compresi gli apprendisti) e i CoCoPro; dal computo degli occupati sono invece esclusi gli stagisti e le partite IVA.
Nel caso di aziende già esistenti, il contratto può essere attivato per un numero di lavoratori pari all’incremento occupazionale annuo. Se, ad esempio, fra il 2013 e il 2014 un’azienda passa da 10 dipendenti a 12 può attivare 2 maxi-job, perché ha incrementato l’occupazione di 2 unità. Dopo il primo anno il contratto di maxi-job può essere rinnovato per un periodo massimo di 3 anni, purché l’azienda che nel primo anno ha aumentato l’occupazione non la diminuisca nel periodo di rinnovo del maxi-job.
Nel caso delle aziende di nuova costituzione il maxi-job può essere attivato solo se l’azienda assume un soggetto alla sua prima occupazione, oppure un lavoratore inoccupato da almeno 1 anno.
Quali lavoratori possono usufruirne
Il maxi-job non è riservato a categorie particolari di soggetti. Chiunque può essere assunto con il maxi-job, anche da aziende differenti in periodi differenti.
L’unico caso in cui un lavoratore non può essere assunto con un contratto di maxi-job è quello in cui abbia già usufruito di uno o più contratti di maxi-job per un periodo complessivo superiore a 3 anni (in tal caso aggiungere 1 anno ai 3 anni passati farebbe sforare il tetto complessivo dei 4 anni).
Durata del contratto
Il maxi-job è un contratto a tempo determinato o a tempo indeterminato con durata minima di 1 anno.
Nel caso esso sia a tempo determinato la sua durata massima è di 4 anni.
Nel caso sia a tempo indeterminato, al temine del 4° anno si trasforma automaticamente in un contratto ordinario a tempo indeterminato, con tutti gli oneri ad esso connessi.
Perché si autofinanzia
Apparentemente, il maxi-job determina una riduzione del gettito della Pubblica Amministrazione, sotto forma di un minore flusso di contributi previdenziali. In realtà si può mostrare (vedi articolo accanto) che il gettito della Pubblica Amministrazione si riduce solo se il numero di posti di lavoro aggiuntivi creati dall’introduzione del maxi-job è molto modesto.
Bisogna considerare, infatti, che i contributi INPS non sono le uniche entrate della Pubblica Amministrazione, e che tutti i posti di lavoro in più, che non sarebbero nati senza i vantaggi del maxi-job, creano valore aggiunto addizionale, e generano quindi un flusso di introiti fiscali aggiuntivo attraverso tasse come Iva, Irpef, Ires, Irap, per citare solo alcune fra le più “pesanti”.
Fatto 100 l’incremento occupazionale senza maxi-job, bastano 33 posti addizionali per garantire che gli introiti della Pubblica Amministrazione non si riducano. Se i posti addizionali sono più di 33, il gettito della Pubblica Amministrazione anziché diminuire aumenta.
Sanzioni contro l’uso improprio
La legge prevede sanzioni nel caso di uso improprio del maxi-job. Per uso improprio si intendono tutti i casi nei quali l’incremento occupazionale è fittizio. Ad esempio: la singola azienda aumenta l’occupazione ma una o più aziende “cugine”, controllate dal medesimo soggetto, la riducono; oppure: l’azienda che usufruisce del maxi-job viene costituita grazie alla chiusura di altre aziende collegate.
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